Curiosità
I Chicago Bulls sono tornati! Rivive il mito Nba degli anni 90

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I Chicago Bulls dopo Jordan, Pippen e Rodman adesso con LaVine, DeRozan e Vucevic cercano di rivivere i fasti di un tempo. L’analisi di Licatanotizie.com

Zach Lavine
Vittorie su vittorie, poche sconfitte, primo posto nella Eastern Conference, terzo miglior record NBA. Hanno cambiato, lo hanno fatto in modo netto per rivoluzionare gran parte del roster e riscattarsi dal recente passato, e oggi della vecchia squadra resta poco o nulla. Non tanto nei singoli, con Zach LaVine su tutti elemento di continuità tra i due corsi, ma nell’atteggiamento, nella mentalità, in una difesa distante anni luce da quanto visto nel recente passato, i Chicago Bulls sono diventati una grande della NBA.

Nikola Vucevic
I Bulls hanno infatti cambiato pelle e, grazie ai giocatori giusti, si stanno rivelando una delle assolute sorprese di questa metà stagione NBA. Giocatori che, grazie a una serie di punti in comune, hanno cementato tra loro un rapporto molto solido che sta consentendo al team di superare anche gli imprevisti sorti strada facendo, tra l’infortunio che rischia di tenere fuori fino a fine anno l’ala Patrick Williams, nelle intenzioni del GM Karnisovas l’ancora difensiva della squadra, e il centro Nikola Vucevic entrato nel protocollo salute e sicurezza anti Covid-19 per un sospetto contagio.
Il tutto con rotazioni ridotte, quintetti sperimentali e un assetto totalmente stravolto rispetto a quanto previsto almeno sulla carta prima del via della stagione 2021/2022 al quale hanno fatto da contraltare prestazioni difensive di alto livello e contro squadre decisamente più accreditate come gli Utah Jazz, i Dallas Mavericks, i Boston Celtics, i Brooklyn Nets e le ultime due vittime eccellenti, entrambe cadute allo Staples, ovvero Los Angeles Clippers e Los Angeles Lakers, nella notte appena trascorsa.

Demar DeRozan
I Big 3, tra conferme e riscatti
Chicago ha prima di tutto trovato i suoi punti di riferimento in attacco, ripartendo dalla star troppe volte lasciata sola negli ultimi anni Zach LaVine, e dalla voglia di riscatto di due giocatori intenzionati a vivere la loro personalissima rinascita sportiva dopo un estate fatta di pochi corteggiamenti e scarsa considerazione dai rispettivi team di appartenenza, Lonzo Ball e DeMar DeRozan.
Il primo scartato dai Pelicans, il secondo lasciato andare dagli Spurs intenzionati ad inaugurare un nuovo corso in cui per un 32enne sembrava non esserci spazio.
Scommesse che possono definirsi pienamente vinte: Lonzo viaggia con il 44% dall’arco e sta dimostrando di aver raggiunto anche in attacco la maturità tanto attesa.
DeMar sta giocando la pallacanestro più matura della sua carriera, a dispetto di chi riteneva il suo basket ormai superato. Il tiro dal midrange è il suo forte, anacronistica rispetto alle spaziature moderne e all’abuso del tiro da 3.
Nella notte, i magnifici 3 hanno combinato per 91 dei 114 punti complessivi della squadra che ha battuto i Los Angeles Lakers in trasferta, mostrando una pallacanestro fluida in attacco e tignosa in difesa, dove anche quelli che a tutti gli effetti sembravano giocatori poco inclini a dare il massimo nella propria metà campo sembrano rinati o comunque ben schermati dall’effort difensivo del resto del team, su tutti Alex Caruso.

Alex Caruso
Il fattore Caruso
Di Alex Caruso avevamo già precedente parlato, sottolineandone il ruolo di uomo di energia in uscita dalla panchina e specialista difensivo da accoppiare quando necessario alle star avversarie. Nelle gare senza Vucevic, coach Donovan lo ha lanciato in quintetto titolare, optando per un assetto small in grado di cambiare contro ogni avversario importante.
I Chicago Bulls non sono in alto per caso, e sono destinati a rimanerci per un po’. Soprattutto se, spinto dalla fiducia per quanto visto finora, Karnisovas deciderà di fare le cose ulteriormente in grande. All’orizzonte c’è l’estensione di Zach LaVine a tenere banco, ma viste le premesse l’ex Minnesota potrebbe sposare a pieno il progetto della Windy City. L’entusiasmo è contagioso, la voglia di vincere anche: il giusto mix può far diventare Grande Chicago.

Jordan, Pippen e Rodman
La dinastia dei Chicago Bulls
Nella decade dei Guns e dei Nirvana, della Polaroid e del Walkman, di Mandela e Clinton, anche il basket ha segnato la fine dello scorso millennio grazie a una squadra: i Chicago Bulls. Sei titoli vinti in otto anni, record distrutti e soprattutto la NBA riportata al top dopo periodi piuttosto difficili.
All’inizio del decennio sulla panchina dei Bulls arriva Phil Jackson per sostituire Doug Collins. Chicago con lui è arrivata fino alle finali di conference sbattendo però sui “Bad Boys” di Detroit.
L’attacco era totalmente incentrato su Jordan, ma con l’arrivo di coach Zen l’attacco a triangolo di Tex Winter è al centro del progetto Bulls. Le medie di MJ calano ma la squadra sale di livello. Scottie Pippen è la point-forward più forte del mondo e il supporting cast è finalmente di livello.
Difficile resistere. Il fascino di quei Bulls è stato consegnato alle nuove generazioni da The Last Dance lo scorso anno. Chi li ha vissuti, però, non li ha mai dimenticati. Come l’impatto che hanno avuto sull’Nba moderna. Michael Jordan è il migliore di tutti, il primo fenomeno veramente globale del basket, quello che tutti volevano imitare. Ma tutti i protagonisti di quel secondo three-peat, chiuso con la doppia sfida alle Finals 1997 e 1998 contro gli Utah Jazz di Stockton-Malone, sono diventati mitici. Da Scottie Pippen all’istrionico Dennis Rodman, dal Maestro Zen Phil Jackson a Steve Kerr. I Bulls sono stati la prima dinastia Nba dell’era globale, il primo superteam che tutti volevano battere e che nessuno è mai riuscito a fermare.

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