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Reclutati per lavorare nei campi a 3 euro l’ora: 8 i fermi

Cronaca

Reclutati per lavorare nei campi a 3 euro l’ora: 8 i fermi

I lavoratori, nella maggior parte dei casi ucraini e moldavi, arrivavano – fra Campobello di Licata, Naro e Canicattì soprattutto – con permessi turistici che gli facevano ottenere le due donne: sono madre e figlia le promotrici dell’organizzazione

Il fermo si è reso necessario perché fra gli otto fermati – l’ultimo provvedimento è stato notificato a metà mattinata – ci sono diversi cittadini stranieri che, dalle indagini, fanno avanti e indietro dai loro paesi di origine. C’era quindi un concreto pericolo di fuga. A finire nei guai – gli indagati dovranno rispondere, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla illecita intermediazione ed allo sfruttamento del lavoro, nonché di violazione delle disposizioni contro l’immigrazione clandestina – sono state due donne: madre e figlia ritenute le promotrici della presunta associazione. Si tratta di due donne di origine slovacca. In qualità di complici nella gestione delle attività, sono stati anche fermati due romeni e quattro italiani.I provvedimenti di fermo sono stati notificati a Veronica Cicokova e alla madre residenti a Campobello di Licata; al palmese Rosario Ninfosì, ad Emiliano Lombardino di Porto Empedocle; Rosario Vasile di Campobello di Licata, Giovanni Gurreri di Agrigento e Nicola Stan, 29 anni, residente a Campobello.

I lavoratori, nella maggior parte dei casi ucraini e moldavi, arrivavano – fra Campobello di Licata, Naro e Canicattì soprattutto – con permessi turistici. Proprio le due donne e gli altri membri dell’organizzazione facevano ottenere ai futuri braccianti i visti che consentissero l’ingresso negli Stati ai confini orientali dell’Unione Europea. I braccianti transitavano dunque dalla Polonia e, approfittando della libera circolazione prevista dal trattato di Schengen, arrivavano in Italia con degli autobus. Una volta arrivati nell’Agrigentino, i circa 100 braccianti ucraini sono stati “ospitati”, pagando un affitto da 100 euro a posto letto al mese in diverse abitazioni messe a disposizione dai membri dell’organizzazione e, di fatto, erano pronti per essere sfruttati nei campi. Le due promotrici e gli altri intermediari contrattavano a questo punto le prestazioni con i proprietari dei fondi e delle aziende agricole e, una volta raggiunto l’accordo, gli operai venivano trasportati, in condizioni di estremo disagio, su una vera e propria flotta di minivan e furgoni condotti dagli stessi caporali. Le indagini hanno accertato che in alcuni casi sono state caricate anche 40 persone su un unico furgone. I carabinieri hanno inoltre accertato che ogni lavoratore “costava” circa 42 euro al giorno, ma riceveva una paga corrispondente a meno di 3 euro all’ora, molto al di sotto del limite minimo retributivo previsto dal contratto provinciale del lavoro.

Gli 8 fermi scattati a seguito dell’inchiesta denominata “Ponos”: che è la dività greca depositaria dello spirito del lavoro duro e della fatica sono stati eseguiti dai carabinieri del comando provinciale di Agrigento e da quelli del nucleo Ispettorato del lavoro, tutti coordinati dal procuratore capo Luigi Patronaggio e dal sostituto Gloria Andreoli.

Nei campi, le condizioni di lavoro erano strazianti: braccianti costretti a stare in piedi per ore, a sgrappolare l’uva o a raccogliere le pesche, senza poter fare pause o riposarsi, non potendosi sedere nemmeno su una cassetta di frutta. Gli investigatori hanno anche registrato il verificarsi di un aborto, durante le ore lavorative. I braccianti non avevano alcun dispositivo di protezione e lavoravano fra le 10 e le 12 ore al giorno, 7 giorni su 7, festivi compresi, costantemente intimoriti e controllati dai caporali.

Il giro d’affari, in termini di guadagno dell’organizzazione e di risparmi illecitamente ottenuti dai committenti in relazione ai mancati versamenti previdenziali ed altro, è stato stimato in circa un milione di euro a stagione.

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