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“Tu hai avuto di più, ed io vi ammazzo tutti”, il racconto della strage di Tardino

L'auto dell'assassino

Cronaca

“Tu hai avuto di più, ed io vi ammazzo tutti”, il racconto della strage di Tardino

La ricostruzione degli investigatori, i racconti dei testimoni. “Discussioni animate anche per un pozzo e per il parcheggio dei furgoni”

 

 

Il piccolo Vincenzo è stato svegliato dalle urla dello zio e dagli spari. Uno dietro l’altro, sempre più vicini. Ha cercato rifugio sotto il letto. Ha stretto attorno a sé la coperta della nonna, come fosse una corazza. E ha trattenuto il fiato, mentre risuonavano altri colpi, mentre i passi dello zio avanzavano. Vincenzo Tardino, che aveva 11 anni, è stata l’ultima vittima di una tragedia che si è consumata in una manciata di minuti, nelle campagne di Licata che guardano il mare.

Poco dopo le sei e mezza del mattino, il possidente Angelo Tardino ha ucciso il fratello Diego, con cui litigava da mesi per la gestione delle terre ricevute in eredità dal padre. Un colpo alla testa. Poi, è entrato in casa. In camera da letto ha sparato alla cognata, Alexandra Ballacchino, che ancora dormiva. Un colpo al torace. In cucina, ha sparato alla nipote Alessia, 15 anni, che stava tentando di scappare. Le ha sparato alle spalle, con un’altra pistola che si era portato da casa. Angelo Tardino si è diretto quindi nella stanzetta di Vincenzo. E ha fatto fuoco nuovamente.

 

 

Con la stessa freddezza, l’assassino telefona alla moglie: «Li ho ammazzati tutti», dice. Un istante dopo, chiama il centralino dei carabinieri e chiede di un maresciallo: «Ho fatto una fesseria — sussurra — cosa devo fare?». Dall’altro capo del telefono arriva una sola risposta: «Consegnati». Tardino non vuole saperne, inizia un dialogo difficile. Intanto, dalla Centrale riescono a localizzare il telefonino; una pattuglia corre verso l’assassino. Ma non c’è tempo per altre parole. Lui chiude la conversazione, appena vede i militari si punta la pistola alla testa. E fa fuoco per l’ultima volta. Morirà tre ore dopo, all’ospedale di Caltanissetta.

«Maledetto», ripete adesso una cugina di Alexandra Ballacchino mentre corre verso la casa della strage: «Perché Diego ha aperto la porta a quell’assassino? Fra i due fratelli c’erano frizioni da diverso tempo — racconta — prima abitavano in uno stesso palazzo, ma litigavano sempre per la gestione delle serre in cui coltivavano pomodori e carciofi. Si scontravano per la roba». E, allora, Alexandra aveva voluto trasferirsi in campagna: «Adesso era più serena», piange il padre, Domenico. Martedì, c’era stato però un altro litigio. Per l’acqua di un pozzo. E poi per il posteggio.

 

 

«Tu hai avuto di più — sbraitava Angelo — il tuo furgone è sempre in mezzo e non posso passare». Allarga le braccia padre Totino Licata, parroco della chiesa San Giuseppe Maria Tomasi: «Tutti in città sapevano di quelle liti, nessuno però pensava che si potesse arrivare a tanto». Non si dà pace il sindaco, Pino Galanti: «Angelo Tardino era una persona normale: accompagnava i propri bambini alle attività sportive, nessuno mai poteva sospettare una perdita completa del controllo dei propri istinti». Tardino deteneva regolarmente un fucile e tre pistole, fedina penale immacolata e mai neanche una contravvenzione. E dalle continue liti non era scaturita nessuna denuncia. «Però, continuava a essere ossessionato dalla roba — sussurra un vicino — litigavano già quando il padre era in vita, lui cercava di mettere pace, aveva provato a dividere in modo equo tutta la proprietà». Ma non è bastato.

 

«Di screzi fra il padre e lo zio Alessia aveva detto alla sua amica del cuore — racconta la professoressa Floriana Costanzo, l’insegnante di Italiano della ragazza — ma se li avesse percepiti come un problema ce lo avrebbe detto». La preside del Liceo classico Linares ha scritto sulla pagina Facebook della scuola: «Alessia era una ragazza piena di vita, brillante, dolcissima». Oggi, avrebbe dovuto fare la versione di greco: «Amava lo studio e aveva tanti progetti per il futuro», dice in lacrime una compagna. Anche l’Istituto comprensivo Marconi è sotto choc: «Vincenzo era un bambino allegro, con una grande gioia di vivere», racconta l’insegnante Tiziana Alesci.

Intanto, sul luogo della strage, i militari della Scientifica raccolgono i proiettili. Ne contano 16. Un sopralluogo difficile. A coordinarlo, il comandante provinciale dei carabinieri, il colonnello Vittorio Stingo, e la sostituta procuratrice Paola Vetro. Un comunicato del procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio conferma: «Il motivo del crimine sarebbe rintracciabile in questioni personali e patrimoniali». Mentre i carri funebri scorrono uno dietro l’altro, un vecchio maresciallo sussurra: «Mai visto niente del genere. Neanche durante la guerra di mafia. Per quella maledetta roba, anche i bambini erano diventati suoi nemici».

 

Fonte: La Repubblica

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